
Di tanto in tanto, anzi ultimamente sempre più spesso, una città o un paese entra nel mio cuore e si insidia nella mia testa. E’ allora che inizio a fare ricerche, compro guide, leggo tantissimi articoli, cerco luoghi su Instagram, fino a quando non stilo la mia guida perfetta, come se da lì a una settimana dovessi partire per quel posto. Ebbene sì, sono esattamente come mi presento su questo blog: una compulsiva pianificatrice di viaggi, soprattutto quelli che non faccio! Ma magari poi un giorno questi viaggi li farò davvero o magari le mie guide saranno utili a qualcun altro e non potrei esserne più felice.
Oggi vi parlo di Beirut.
Iniziai a osservarla quando un’amica, diversi anni fa, mi fece vedere il film Caramel. E’ la storia di cinque donne di diverse generazioni che lavorano in un salone di bellezza a Beirut. I problemi sono quelli comuni a tutto il mondo femminile: amore, sesso, maternità.
Quello che non sapevo è che Beirut, fino agli anni ’60, quindi prima della guerra civile (1975-1990), era conosciuta come la Parigi del Medio Oriente, meta di molti attori americani, attratti dalla vita mondana della capitale libanese.
Beirut ha una vitalità innata, quello che mi attrae di questa città è il suo fermento, anche dal punto di vista artistico. Tantissimi designer fanno la spola tra Parigi e Beirut, ci sono qui realtà estremamente interessanti. Il mio prediletto è sicuramente Candyfornia, uno studio creativo scoperto su Instagram. Con una visione pop, dai colori candy e un nome che richiama il sogno della la la land, sono diventati grande fonte di ispirazione per il mio ruolo di creatore d’immagini. Imperdibile, e altamente instagrammabile, è il loro cafè concept in stile Kawaii. Un posto felice ricco di gonfiabili, dove poter fare colazione in una piscina e assaggiare un unicorno, in cui coesistono interni tradizionali libanesi e sensazioni californiane.
Chi ama i tessuti deve assolutamente fare un salto da Bokja, uno studio nato dall’intuizione di un duo tutto al femminile, che vanta una squadra di talentuosi artigiani della regione. Qui si possono bokadizzare, quindi personalizzare, oggetti con i loro tessuti unici ricamati a mano.
Tra i disegner libanesi la mia preferita è sicuramente Sarah Beydoun, fondatrice e direttore creativo del colorato e vivace brand Sarah’s Bag. La parte più interessante di questo progetto è che si tratta di una vera e propria impresa sociale: una squadra di 200 donne tra le quali prigioniere, ex detenute e donne svantaggiate in Libano.
Passeggiando nel quartiere di Mar Mikhael si possono ammirare diversi interventi di street art, come le scalinate colorate, palcoscenico per gli eventi del quartiere. E tanti sono anche i musei.
Casa è dove si trova il buon cibo (e il caffè). E’ così che si presenta su Instagram Home Sweet Home Cafè, un ristorante sano e caffetteria. Atmosfera rilassata e casalinga e un melting pot di sapori. Non vedo l’ora di fare un brunch qui!
Ma Liza Beirut è, per me, il vero punto di arrivo per la tipica cucina libanese, già pregusto tutte quelle ciotoline piene di cibi deliziosi..
Il sabato mattina ho letto di un mercato di cibi locali preparati al momento, nella zona di DownTown, sulla piazza di fronte al Souk, ci farò un salto. Per la movida, i quartieri consigliati sono Gemmayzh e Achrafieh e Mar Mikhael (quartieri cristiani) e Hamra (quartiere multietnico a maggioranza musulmana).
Certo qui gli alberghi sono un po’ costosi, anche se su AirBnB si trovano diverse soluzioni interessanti a prezzi più accessibili. Ma per chi vuole sognare e concedersi un viaggio di lusso in piena atmosfera libanese, con veduta panoramica sulla città, l’Hotel Albergo è perfetto.
Per me che sono nata in una città di mare e ho origine greche (isolane per la precisione), una passeggiata a Le Corniche è d’obbligo: un lungomare di quasi cinque chilometri, con faro e faraglioni (gli scogli del Piccione) da cui godere la vista del tramonto.
La zona de Le Corniche è anche ricca di grattacieli. Questo è quello che più mi affascina all’idea di visitare Beirut: costruzioni moderne affiancate a quelle più tradizionali che presentano evidenti i segni della guerra, quasi a voler ribadire e sottolineare l’idea di modernità che anima questa città ricca di contrasti. Un esempio è Beit Beirut, la casa gialla. Come si legge dal sito, uno stile architettonico che crea un equilibrio tra patrimonio e modernità. Il progetto è quello di trasformarla in una struttura culturale vivente attraverso il ripristino della casa originale, preservando le tracce del tempo e della guerra per evidenziare il carattere unico dell’edificio e la sua evoluzione nel corso degli anni. Oltre alla creazione di un nuovo edificio per creare una struttura pubblica.
L’impatto con la città potrebbe spaventare, quartieri musulmani e quartieri cristiani con popolazioni di fede maronita, greco ortodossa e armena; chiese, moschee e sinagoghe. Alcune zone sono presidiate dai militari e chiuse al traffico. L’ingresso è consentito solo attraverso dei varchi, e non è possibile scattare foto. Una città intasata, un po’ all’India maniera, dove i mezzi di trasporto sono quasi inesistenti e le automobili rappresentano ancora uno status symbol. I taxi qui dicono siano molto cari, ma ci si può spostare con Uber, ebbene si, è arrivato anche qui questo servizio privato!
Ah Beirut, città dai mille contrasti, quanto desidero conoscerti!
Un pensiero riguardo “Beirut, la città dei contrasti”